domenica 5 agosto 2012

Lettere e diari dal fronte..


Frammenti di memoria scritta dal fronte.

Grazie alla collaborazione dei nostri utenti abbiamo potuto recuperare queste preziose ed inedite testimonianze di un passato che forse molti di noi si sono dimenticati di ricordare.

La guerra, al giorno d'oggi, la conosciamo tutti attraverso filmati, documentari, film e fotografie. Ormai abituati da anni a questa overdose multimediale ci sentiamo quasi anestetizzati , non percepiamo più l'essenza di questi avvenimenti.
Per questi motivi, leggere direttamente dalle parole di chi l'ha vissuta, anche se raccontano perlopiù di momenti gioiosi e di svago è tutt'altra cosa.
Ci permette, anche solo per un breve istante, di entrare (quasi violare) nella vita di chi, quegli attimi, li ha realmente vissuti. Sono storie di persone e di vite.

 





..e dopo il rancio ottenuto è permesso ci rechiamo al teatro.

Per entrare la fatica è stata immensa, ma siamo entrati di prepotenza e senza biglietto. Dentro al teatro, promiscuità di razze e gran confusione.
La rappresentazione consiste in una commedia, con grandi colpi di spada e non riusciamo a capire una parola. In compenso ridiamo molto e facciamo un gran casino. Alle 7.30 lo spettacolo è già finito e io, Zani, Boschetti usciamo cantando fino all’accampamento.

Lunedì 3-11-XX

Altra messa in onore di defunti nel cortile del magazzino viveri molti soldati, molti ufficiali e mani e piedi gelati.
Al ritorno il capitano mi incarica di mettere i ferri a Segrè. Il mio tenente vuol vedere e leggere il mio diario, ma io mi oppongo. La posta non arriverà più. Il carro armato che abbiamo mandato per rimorchiare il camion della posta non è riuscito a trovarlo.
 
                                                                                     Martedi 4-11-41-XX

Oggi compio 20 anni.

Grande giornate per me, e grandi auguri da parte dei miei amici. Carlo mi regala un libro, Boschetti una sigaretta, e Gozzi diversi bicchieri di liquori. Auguri da parte del mio capitano e tirate di orecchie da parte degli altri ufficiali. Vent’anni ho. La più bella età che un uomo possa attraversa e dove il ragazzo si plasma per diventare uomo. Quando ho detto al mio capitano che compivo i vent’anni, un lampo di tristezza e di nostalgia ha attraversato i suoi occhi addolcendo quel suo sguardo così penetrante e deciso. Forse ricorda l’età spensierata e incosciente che è passata e non è più tornata.
La giornata passa lieta e tranquilla. Alle 7 ci rechiamo a casa della Duscia dove per festeggiare il mio compleanno ha fabbricato dei pasticcini con della ricotta, del burro, delle patate, della carne ecc. Non erano mica cattivi e ne ho mangiato abbastanza. Dopo abbiamo cantato e riso e imparato un po’ di russo. Rientriamo per la finestra onde evitare il pericolo di una punizione.





Lettera al Capitano Ferri Ferdinando alla nipote Maria Carnevali coniugata Fiori Igino:
219° BATTAGLIONE TRASPORTO MECCANICO- IL COMANDANTE: Petrovac- Bosnia- 17-06-1941 XX

Carissima Maria
Ho avuto la tua gentil letterina e sono contento d'aver incontrato, come mi dicevi, il gusto tuo.
Il mio pensiero vola sovente a te, che stai per diventare madre, che t'ho visto ed amato sin da bambina, che fosti in anni sempre la prediletta, soprattutto per me, fra le tue sorelle.
Ti auguro perciò di trovare, in seno alla tua nuova famiglia, cioè in quella che stai ora compleatando, le consolazioni e le gioie che Dio elargisce ad ogni sposa, ad ogni madre, che di questi titoli possa onorarsi.
Tu ne sei meritevole e perciò sono persuaso che il frutto del tuo grembo, comprenderà le virtù tue, che non sono poche, nonchè quelle del tuo Gino, che sono altrettante.

(il 3 Agosto 1941 in "Pescheria"  via Tullio Mozzini nasce Ezio Maria con l'assistenza della levatrice Carnevali Lina moglie del Capitano Ferri Fernando; Gino è Igino Fiori, marito di Maria Carnevali)

Da Gino non ho mai avuto scritti, nè gliene faccio addebito: salutalo tanto per conto mio e che Dio te lo conservi  a lungo.
Se è vero che il battaglione rimpatria, può darsi che faccio una scappata in pausa, a casa, allora ti darò una carezza, t'abbraccerò e bacerò come vorrei fare in questo momento.
Ciao, Mariola, tuo zio Nando.
PS Salutami i tuoi suoceri e cognati, nonchè i tuoi genitori e sorelle.

APPUNTI E BRICIOLE DA UNA GUERRA
(memorie di un soldato mantovano)


UN SOGNO CHE SI RIPETE

Un brutto sogno ricorrente, un angoscioso pensiero mi perseguita da anni. Si assopisce, scompare, poi improvvisamente riappare e mi tormenta.
Mi vedo sveglio in quella notte buia, senza luna, raggomitolato sul povero pagliericcio che ormai non è più taloe poichè i pochi fili di palia rimasti sono tritati, ridotti in polvere.
Gli altri, i miei compagni, dormono, russano, beati loro!
I pidocchi no, purtroppo. Si muovono, mordono, succhiano, mangiano, mi tormentano. Anche loro hanno fame come me! 
Fuori dall'isba, dove siamo riparati dal freddo della notte, si sente un via vai di autocarrette. Sarà il cambio per quei poveretti che sono più avanti. Poi finalmente mi addormento.
All'alba esco, e seduto lì per terra trovo un mio vecchio compagno di scuola, affranto, stanco morto che sta bevendo una specie di caffè. Mi spiega che ha lavorato tutta la notte per portare giù dei morti, non nostri mi precisa, ma croati, nostri amici di sventura. Mi indica che li hanno messi laggiù, dentro a quel baraccone, forse una stalla.
Voglio vederla ancora la morte e, muovendomi istintivamente, mi trovo davanti ad un portone sgangherato che, spingendolo con forza, si apre cigolando.
Un odore nauseabondo mi penetra nel naso. Figure informi, allineate disordinatamente per terra, fra il letame secco della stalla, stanno là, irrigidite, assieme alla morte.
Povere carni martoriate, dilaniate, violacee, gonfie, nere, putrefatte. Mosche immonde si posano su di loro, si spostano, ritornano.
Alcuni hanno ancora l'elmetto, bucato, schiacciato, fracassato, che entra nel collo, nella testa.
I corpi gonfi per la decomposizione sono strozzati dalla cinghia, dalle giberne. Poveri esseri che aspettano di finire sottoterra. Scappo senza più voltarmi, corro, corro, non so dove. Inciampo, cado e piango. Poco lontano si innalza un mesto, malinconico canto. Sono i prigionieri russi, rinchiusi entro un recinto di filo spinato, sorvegliati dai nostri.
Lassù sulla collina domina una croce di legno, e sembra abbracciare tutti quei mucchi di terra messi lì per coprire gli altri, morti prima.
Croce mia, il sacrificio dell'Uomo che su di te fu crocefisso forse è stato vano.
E la tua fine, povero ragazzo timido e smarrito, quele sarà?
E tua madre, povera donna donna tanto lontana, che cosa starà pensando in questo momento?
Noi, i croati, gli altri, tutti vittime di un triste destino, siamo qui per scannarci a vicenda. Ma per chi? Ma perchè?
Guerra, sei una maledizione, sei una vergogna!

UNA CASSA ENORME

Una cosa che mi "rompe" veramente è una cassa, una cassa enorme, di legno, con tutti gli spigoli ricoperti di ferro, per renderla più robusta e indistruttibile.
Essendo, fra tutte, la cassa più pesante ed essendo io il più giovane di età e di servizio, fatalmente la maledetta cassa è stata "rifilata" a me e con il divieto assoluto di protestare.
Peserà almeno un quintale la maledetta ed ogni volta che occorre caricarla o scaricarla chi ci deve pensare sono io. L'avrò fatto almeno trecento volte e per trecento volte ho stramaledetto quel cervellone che l'ha fatta costruire in quel modo! Almeno avesse pensato di farne fare due da mezzo quintale l'una mi avrebbe reso meno arduo e faticoso il loro trasloco. Ma lui, il cervellone, essendo ufficiale, se ne è fregato: tanto il regolamento vieta ad un superiore di fare il facchino. 
La cassa contiene, rilegata in quaranta volumi di oltre due chili ciascuno, la raccolta di tutte le dispense stampate dalla UTET (Unione Tipografica Editrice Torinese) relative alle leggi e decreti vari emanati dallo Stato e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.
Io non ho mai capito a che cosa possano servire per fare la guerra, certi libri!
Il mio è l'unico Reggimento di tutta l'Armata in Russia ad essersi portato dietro una così importante raccolta. Quello che è certo è che mai nessuno l'ha consulatata, mai nessuno l'ha cercata. Io, solo io, l'ho portata su e giù attraverso tutta l'Ucraina, fino a Don, dove è rimasta per sempre. Infatti, quando è cominciata la ritirata, la prima cosa che i miei amici hanno scartato è stata proprio lei: la famigerata cassa!
Forse adesso riposa in qualche scantinato del Cremlino quale cimelio di guerra a dimostrare che i solodati italiani furono "forti" ma soprattutto istruiti e colti!


MANTOVA, FINALMENTE!

Il 24 Dicembre, dopo aver attraversato mezza Europa, da nord a sud, da sud a nord, da est a ovest, arriviamo a Tarvisio e precisamente a Camporosso, per trascorrervi il prescritto periodo a contumaciale di 15 giorni e per essere sottoposti a controllo sanitario relativo ad aventuali casi di tifo petecchiale.
Per prima cosa ci fanno fare una doccia calda, quasi bollente!
è la prima dopo 18 mesi. La pelle ricomincia a respirare ed a cambiare colore. Da grigio-marrone che era diventa bianca e poi rosa. Da coccodrilli ci trasformiamo in candidi angioletti. Io non riconosco più i miei amici!
Sembra un sogno. Dormiamo il mio amico Nino ed io in una stanza riservata ai sottoufficiali dove sono solo due brande con lenzuola bianche, candide. La stufa accesa ci riscalda e ci leva di dosso tutto il freddo accumulato laggiù. I pidocchi come per incanto sono stati massacrati da infernali macchine create apposta.
Tutti morti, finalmente tutti morti! Quelli che avevo addosso, e ciò per mantenere una promessa, io li ho portati sani e salvi in Italia. Se poi altri uomini li hanno sterminati, la colpa non è mia.

Anche qui c'è la neve, ma è neve bella, soffice, vellutata, profumata, di un candore morbido e primaverile. A guardarla ti scalda di dentro. Sembra panna montata, tutta da mangiare. è neve italiana, la mia neve!
Il 6 Gennaio 1943 scendo dal treno alla stazione di Mantova. Sono a casa finalmente, anche se per un pelo!

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