venerdì 17 agosto 2012

Fiabe Mantovane..


Tra i tanti luoghi in cui possiamo trovare tracce del nostro passato, non dobbiamo dimenticare le fiabe. Tramandate di generazione in generazione solo oralmente, sono state raccolte nel volume "Fiabe Mantovane" nel 1879 da Isaia Visentini.



Come spiega lo stesso autore nella prefazione al libro: «Ero in Mantova da qualche anno, quando a caso mi venne udita una fiaba da un ragazzetto, a cui l'aveva contata la nonna. Rimasi colpito perché in essa io trovavo non lontane somiglianze con altre da me lette in raccolte straniere. Tosto, senza perder tempo, con un certo entusiasmo - lo devo confessare - col mezzo specialmente de' miei giovani scolari, ne raccolsi un duecento circa da tutte le parti della provincia mantovana.» Queste duecento, furono poi opportunamente selezionate e ridotte a cinquanta dallo stesso Visentini, onde evitare le varie e tante versioni riportanti gli stessi temi e motivi. Nello scegliere i testi, Visentini selezionò attentamente il numero sufficiente a fornire una panoramica completa del patrimonio fiabesco tipico della zona presa in esame.

Ed ecco qui di seguito alcune di queste fiabe:




           LA MERLA (i giorni più freddi dell'anno)

Non è una fiaba ma fa parte della tradizione mantovana.
Ci sono molte leggende sulla nascita del termine che indica i giorni più freddi dell'anno, ma forse quella più curiosa è proprio quella ricordata nel detto mantovano " La merla la pasà al Po".
L'Arrivabene nel suo vocabolario narra: 
"Un Gonzaga , signore di Mantova, dovendosi recare oltre il Po per affari pressantissimi nei tre ultimi giorni di Gennaio, fece apparecchiare la vettura ed attaccarvi sotto una mula detta Merla a cagione della prodigiosa sua rapidità.
Giunto però a Borgoforte, il cocchiere riconobbe il fiume tutto ghiacciato, ma vedendo il padrone profondamente addormentato, credette suo dovere tentare di varcarlo, onde potessero aver compimento gli affari per cui eransi mossi.
Compiuto felicemente l'arrisciato valico, si rimise in via, se non che, poco dopo, svegliatosi il Gonzaga, chiese quanto mancasse ad arrivare al Po. Sorrise l'auriga e rispondendo: La merla l'ha pasà al Po! gli narrò l'occorso. Tanto fu il terrore del Gonzaga che, appena pose piede a terra, onde punirlo d'aver posto a tanto pericolo la sacra sua persona, graziosamente si degnò di farlo impiccare."  


LA VECCHIA

Dovete sapere che una volta c'era una vecchia brutta, sdentata, pareva una strega. Era venuta al mercato con un sacco per comprare un porcellino.Un ragazzo, alto un piede, ma più furbo del diavolo, le va vicino e facendo mille smorfie comincia a canzonarla: "Ah! Siete qui brutta strega a comprare un porcellino?" la vecchia per un pò sopportò pazientemente poi, voltasi, lo rimproverò dicendo: "dov'hai imparato sconcia creatura a sbeffeggiare i vecchi? Guarda bene che se continui te ne farò pagare il filo". Queste parole non fecero che accendere vieppiù nel monello la voglia di schernir la vecchia. Finchè questa, perduta la pazienza, lo piglia per il collo, lo caccia nel sacco e poi s'avvia per andarsene a casa sua. Strada facendo, le convenne fermarsi presso una sua comare, e depose per poco il sacco. Il ragazzo, colto il tempo, slaccia il sacco, vi caccia entro una grossa pietra e se la svigna di corsa. La vecchia torna al sacco e se lo reca in spalla e borbotta "come sei pesante, birichino, ma vedrai ben presto ciò che si guadagna a deridere i vecchi".
Giunge a casa e dice alla figlia " Vieni, figlia mia, aiutami a bastonare un bricconcello, ch'è qua chiuso nel sacco.". La giovane viene, s'apre il sacco e trovano in cambio del ragazzo una pietra. "Ah! Me l'ha fatta il briccone! Mi son fermata per via e m'è scappato. Ma se t'agguanto un'altra volta, caro mio, non mi scappi no, in verità".
Il giorno dopo la vecchia torna al mercato col sacco. Il ragazzo la apposta e tirandole la sottana, grida: "Ah! siete qui brutta vecchia a comprar il porcellino? Ma com'era pesante quello d'ieri, non è vero?" e la vecchia "Lasciami birichino, guarda che se ti colgo non mi scappi più!". Eran parole gettate al vento, chè il monello le era sempre attorno, sbeffeggiandola con mille boccacce. Finchè la vecchia colto il momento lo agguantò per il collo e lo cacciò nel sacco. Difilata si mette in via per tornar a casa. Trovo ancora la comare e la voglia di fare quattro chiacchiere la vince, s'assicura prima che il sacco è ben chiuso e poi lo posa sulla via.
Il ragazzo, che non dormiva, si libera dal sacco e pigliato un gatto lo caccia entro e se ne va per i fatti suoi. La vecchia torna poco dopo al sacco, sente moversi dentro e se ne va borbottando: "Questa volta non mi sei mica scappato, furfante, aspetta e te ne accorgerai!" giunta a casa dice alla figlia " metti sul calderone pieno d'acqua e, quando questa è bollente chiamami chè ci cacceremo entro questo diavolo di ragazzo".
Quando l'acqua alzò il bollore pigliano il sacco, lo accostano al calderone, l'aprono e schizza fuori il gatto. Questo era arrabbiato e s'avventa al viso della vecchia e la graffia e la morde. La vecchia tutta tremante per la rabbia e stringendo i pugni grida: "Ah!  Me l'ha fatta ancora. Colpa mia che mi son femrata a discorrere con la comare. Ma se lo colgo un'altra volta, chè lo coglierò di certo, voglio vederla io se mi scappa".
Il giorno dopo torna al mercato col sacco. E il ragazzo le ronza attorno sbeffengiandola. "Siete qua brutta strega a comprar il porcellino?Come siete bella! Pare che un gatto v'abbia graffiato e morso il viso!". La vecchia questa volta tace, sopporta le sbuffonate del birichino con pazienza. Però un momento che se le era accostato un pò troppo, lo piglia per il collo e lo caccia nel sacco, e se ne va. Incontra la comare, la saluta e passa oltre. Quand'è a casa dice alla figlia: "Metti al fuoco il calderone e appena l'acqua bolle chiamami che questa volta c'è il monello! Vuoi vederlo?" scioglie il sacco e ne cava tutto tremante il ragazzo, e per maggiore sicurezza lo lega bene stretto al piede d'un tavolo. Poi esce per le sue faccende. Anche la ragazza esce un momento per la legna ma chiude l'uscio perchè il briccone non fugga.
Il ragazzo quando si vede solo, piano piano si slega e fugge per una finestretta attraverso i campi. Quando le due donne lo vedono darsela a gambe, si mettono le mani nei capelli e gridano quanta voce avevano " Dalli, dalli, piglialo!" ma potevano gridare quanto volevano, chè il ragazzo l'hanno ancor da pigliare e la vecchia per la stizza per poco non andò al mondo di là.

GAMBARA

C'era una volta un re, che aveva perduto un anello di gran prezzo. Cerca di qua, cerca di là, non si trova. Onde mette fuori un bando che se un qualche astrologo gli sa dire dove può essere, avrà una buona ricompensa. Un povero contadino, chiamato Gàmbara, aveva sentito del bando. Non sapeva né leggere né scrivere ed era poverissimo, e si mise in capo di voler essere egli l'astrologo che trovasse l'anello del re. Si mette dunque in cammino e giunge alla città e si presenta al re, al quale dice: "Sappia la maestà vostra che io sono un astrologo, sebbene mi vede in così povero arnese. So d'un vostro anello ch'avete perduto, e io m'ingegnerò, studiando, di sapere dove si trova. "Va bene," disse il re, "e quando l'avrai trovato, che ti dovrò dar io in ricompensa?" "Questo stia nella vostra discrezione, maestà." "Va pure, studia, e vedremo che astrologo sarai." Fu condotto in una stanza, nella quale doveva star rinchiuso a studiare. Nella stanza non c'era che un letto e un tavolo e su questo un gran libraccio, e penna, carta e calamaio. Gàmbara si mise a sedere al tavolo e non faceva che scartabellare il librone e scarabocchiare la carta, di forma che i servi, che gli portavano là dentro da mangiare, lo avevano in concetto di grand'uomo. Erano stati essi i ladri dell'anello, e dalle occhiate severe, che il contadino lor dava ogni volta ch'entravano, cominciarono a temere d'essere scoperti. Le riverenze che gli facevano erano infinite e non aprivano bocca senza chiamarlo: Signor astrologo. Gàmbara, che, se non era letterato, però, come contadino, era malizioso, subito s'immaginò che i servi dovessero sapere dell'anello, ed ecco come venne a confermare il suo sospetto. Già da un mese si trovava chiuso nella stanza, scartabellando il suo librone e scarabocchiando, quando venne a trovarlo la moglie. Egli le disse: "Nasconditi sotto il letto, e quando viene un servo, tu di': «E uno»; quando ne viene un altro, tu di': «E due», e cosi via." La donna si nasconde. Vengono i servi col pranzo e, appena entrato il primo, la voce di sotto il letto dice: "E uno"; entra il secondo, e la voce: "E due"; e così di seguito. I servi rimasero sbigottiti all'udire quella voce, che non sapevano da dove uscisse, e si strinsero l'un l'altro. Uno disse: "Ormai siamo scoperti; se l'astrologo ci accusa al re come ladri, siamo spacciati." "Sapete che dobbiamo fare?" dice un altro. "Sentiamo." "Dobbiam presentarci al signor astrologo, e confessargli apertamente che siamo noi i ladri dell'anello, e pregarlo che non ci tradisca, e gli regaleremo una borsa di danaro. Siete contenti?" "Contentissimi." E così di concordia se n'andarono dall'astrologo e, fattogli un inchino maggiore del solito, uno di loro cominciò a dire: "Signor astrologo, voi vi siete ormai accorto che fummo noi i ladri dell'anello. Noi siamo povera gente, e se ne parlate al re, siam perduti. Sicché vi preghiamo di non tradirci e in cambio prendete questa borsa d'oro." Gàmbara prese la borsa e poi aggiunse: "Io non vi tradirò, ma voi dovete fare quanto vi dico, se volete salva la vita. Prendete l'anello e fatelo inghiottire a quel tacchino che è laggiù nel cortile, e poi lasciate a me il resto." I servi furono contenti di far così, e fatta una grande riverenza se n'andarono. Il giorno dopo Gàmbara si presenta al re e gli dice: "Sappia la maestà vostra, che io, dopo d'aver sudato più d'un mese, son venuto a sapere dov'è l'anello smarrito." "Dov'è dunque?" domanda il re. "Un tacchino se l'è inghiottito." "Un tacchino? Bene, vediamo." Si va per il tacchino, si sventra, e gli si trova nelle viscere l'anello. Il re, meravigliato, dà una gran borsa di danaro all'astrologo, e lo invita a un pranzo. Al pranzo c'erano conti, marchesi, principi, baroni, insomma, tutti i grandi del regno. Fra le altre pietanze fu recato in tavola un piatto di gamberi. Bisogna che i gamberi allora fossero cosa ben rara, perché solo il re e pochi altri sapevano il loro nome. Voltosi al contadino, il re gli disse: "Tu, che sei astrologo, dovresti sapermi dire come si chiamano questi che son qui su questo piatto." Il povero astrologo era ben impacciato e, quasi parlando a sé, ma in modo che gli altri lo sentirono, brontolò: "Ah! Gàmbara, Gàmbara, dove sei giunto!"
Nessuno sapeva ch'egli aveva nome Gàmbara, e perciò si alzarono tutti e lo acclamarono il più grande astrologo che ci fosse al mondo. E si fece un gran pasto e un gran pastone e a me han gettato un osso in un gallone.

           SANGUE DI PESCE


C'era una volta un pescatore tanto povero che a stento poteva vivere, e sì non aveva che la moglie da mantenere. Pareva che il diavolo lo perseguitasse, poteva gettar le reti quanto voleva, non tirava su che pochi pesciatelli tanto da non morir di fame. Stava quasi per darsi alla disperazione, quando un giorno andò al mare, gettò la rete e poi cominciò a tirarla su. Gli pareva questa volta di fare molta più fatica delle altre; e tira e tira, la rete è su, e dentro c'è un pesce di così smisurata grandezza, che il pescatore, fuori di sé per la gioia, disse: "Oh! Finalmente uscirò di stento, questo pesce mi frutterà centinaia di lire." Mentre pensava alla sua fortuna, un'altra maraviglia venne a sorprenderlo. Il pesce parlava e diceva: "Tu non m'ucciderai, non è vero, buon uomo?" "Che non t'uccida, caro il mio pesce?" risponde il pescatore, "sarei ben gonzo. Senti questa, mi capita in mano la fortuna, e me la lascerò scappare anzi per far piacere a un bel pesce." "Te ne prego, sii buono, lasciami andare; ti darò una ricompensa tale che sarai contento. Sappi, buon uomo, che io sono il Padre dei pesci, e se tu mi salvi, farò si che le tue reti saranno sempre piene, e tu camperai lautamente." "Di' tu davvero?" domandò il pescatore. "Davvero, e te ne do parola d'onore," rispose il Padre dei pesci. "Ebbene, e io ti lascio." Aperse la rete e il pesce se n'andò libero. Da quel giorno in poi il pescatore non gettava le reti che non le tirasse su con stento, a tale che in poco tempo da povero ch'egli era cominciò ad arricchire, pur non lasciando il mestiere.
Un giorno getta la rete, e non tira su ancora il Padre dei pesci! Dice il pescatore: "Questa volta non ti lascio andare. Sarei ben pazzo se lo facessi." "Ingrato," disse il pesce, "adesso che ti sei fatto ricco per opera mia, adesso mi vorresti ricambiare con la morte. Ritorna in te, e sii quell'onesto pescatore che sei sempre stato. Salvami la vita, e io ti farò ricco il doppio, il triplo di quello che sei adesso." Il pescatore si commosse, e lasciò andare il Padre dei pesci. Aveva egli una moglie assai curiosa, la quale aveva visto il marito sempre più arricchirsi di giorno in giorno e non sapeva come ciò avvenisse. Era sempre attorno al buon uomo per cavargli il segreto, e il pescatore, finché potè, resistette; finalmente, vinto dalle preghiere della donna, le raccontò per filo e per segno la storia del Padre dei pesci. Alla donna la storiella non parve vera e disse al marito: "Senti, tu vuoi ridere alle mie spalle, e mi vieni fuori con certe cose che non le crederebbe un bimbo. Guardati bene, la gente comincia a mormorare delle tue ricchezze. Io certo non sarò quella che ti faccia del male, che mi darei la zappa sui piedi; però, o mi dai altre ragioni del tuo arricchire, o, tirata dal demonio, potrei giocarti, contro mia voglia, un brutto tiro." Rispose il pescatore: "Eppure la cosa sta appunto come io te l'ho detta; se non la vuoi credere, non so che farti, peggio per te." "Ebbene," replicò la donna, "giacché insisti nel volermi sbeffeggiare, fa' ch'io veda questo famoso Padre dei pesci, e allora me ne starò cheta." Bisognò che il pescatore promettesse quanto quella voleva. Volle fortuna che proprio il giorno dopo, gettando le reti, tirasse su il Padre dei pesci. Questa volta non valsero le preghiere e le promesse, il pescatore raccontò la storia della moglie e il suo pericolo. Per cui il pesce, senza più pregare per la vita, disse all'uomo: "Vedo che ormai mi conviene morire. Io t'ho fatto del bene e, se ora m'ascolti, intendo fartene anche morendo. Ti prego dunque: quando tu m'hai sventrato, getta le budella nel mare, e io risusciterò; già per te non valgono nulla. Poi del mio sangue ne darai tre gocce a tua moglie e ti farà dono di tre bei bambini; tre gocce le darai alla tua cavalla e questa ti farà dono di tre bei puledri; e poi tre gocce le darai alla tua cagna e ti farà dono di tre bei cani. Non basta, devi versarne ancora tre gocce nel tuo giardino, e vedrai a suo tempo uscirne tre taglienti spade. Il resto del sangue tu lo porrai in tre ampolle, e sopra ciascuna scriverai il nome di uno dei tuoi figliuoli. Mettili in collegio, questi, già che sei ricco, e che v'apprendano tutto ciò che si conviene ai giovani signori. E quando saranno in età da correre il mondo, da' a ciascuno un cavallo, un cane e una spada, e lasciali andare alla ventura. Ogni giorno tu guarda le ampolle e, fino a che il sangue sarà bello rosso, sta pur con l'animo tranquillo, ciò vuol dire che i tuoi figli sono fortunati nei loro viaggi. Se invece il sangue di un'ampolla comincia a intorbidirsi, vuol dire che il figlio, il cui nome è scritto sopra di essa, si trova in pericolo. Se farai quanto ti ho detto, te ne chiamerai contento." Il pescatore fece né più né meno di quello che gli aveva detto il Padre dei pesci, ed ebbe tre figli, tre cavalli, tre cani e tre spade. Fece educare i figli in un collegio e, quando furono grandicelli, li chiamò a sé, e disse al maggiore: "Eccoti un cavallo, un cane, una spada e una borsa di danaro, e mettiti alla ventura per il mondo, che il ciel ti benedica." Il ragazzo montò a cavallo, e via. Cammin facendo udì che lontano lontano era tenuta come schiava in un palazzo incantato la figlia di un re. Disse il giovane: "Più bella avventura di questa non mi poteva capitare; se libero questa ragazza, la fo mia sposa." Cammina e cammina, giunge a un crocicchio e non sapeva quale delle vie prendere. Vede una vecchierella che gli stende la mano e gli chiede l'elemosina. Il giovane s'accosta e le dà alcune monete. La vecchia domanda: "Dove andate, buon giovane?" "Vo a liberar la figlia di un re, che è schiava di un drago in un palazzo incantato." "Dio ve ne guardi; è un'impresa che ha condotto tanti altri alla perdizione." "Ma io sono coraggioso, e certo riuscirò." "Va bene, ma ascoltate lo stesso il consiglio d'una povera donna, quale son io. Il palazzo incantato, al quale voi andate, ha un cancello di ferro tutto arrugginito, dietro a cui sta un furioso mastino, che s'avventa contro chi gli si avvicina. Voi prendete dell'olio e del pane, e forse riuscirete nell'impresa." Il giovane fece come gli raccomandò la donna. Cammina, cammina, arriva al palazzo incantato. Quando è vicino, gli esce incontro una brutta strega gridando: "Cavaliere, cavaliere, dove te ne vai?" "Vengo a liberare la figlia del re." "Ebbene, metti al guinzaglio quel cane, altrimenti non entrerai." Il giovane scende da cavallo e mette al guinzaglio il cane. Ma già la vecchia gli è sopra, lo tocca con la bacchetta magica, e in un punto il giovane, il cavallo e il cane rimangono di sasso.
Il pescatore ogni giorno guardava le tre ampolle del sangue. Un giorno s'accorge che il sangue dell'ampolla, su cui era il nome del figlio partito, è tutto torbido. Disperato, chiama i due figli, e dice loro: "Ahimè! Vostro fratello, o è morto, o di certo si trova in gran pericolo." "Non vi disperate, padre," dice il mezzano, "datemi cavallo, cane, spada e danaro, e io andrò in cerca di lui, e prometto di salvarlo." Il padre lo abbracciò e baciò e gli diede quanto domandava.
Il giovane monta a cavallo; trova nel crocicchio la vecohietta. Le fa l'elemosina, per suo consiglio si provvede d'olio e di pane e s'avvia al palazzo incantato. Giunge, e la vecchia strega gli viene incontro e lo minaccia se non mette al guinzaglio il cane. Il giovane si lascia persuadere, smonta da cavallo, mette al guinzaglio il cane; ma subito, al tocco della bacchetta magica, è mutato in sasso.
Pensate alla disperazione del povero padre, quando dall'intorbidirsi del sangue nell'ampolla s'accorse che anche il secondo figlio era morto, o almeno si trovava in gran pericolo. Il minore dei figli lo consola e gli dice che andrà egli a liberare i fratelli, ma questa volta vuol portare con sé l'ampolla del sangue di pesce, "perché" dice, "se io morrò, voi non dovrete assistere alla mia agonia." Il padre acconsentì, baciò in fronte il figlio, e lo accomiatò. Egli era tutto fiducioso perché si ricordava le promesse del Padre dei pesci. Il giovane parte, trova la mendicante, le fa l'elemosina e segue i suoi consigli. Giunge al palazzo incantato. Può gridar la strega quanto n'ha in gola: "Legate quel cane, o cavaliere; legate quel cane, ve ne prego." Il giovane non l'ascolta, cava la spada e d'un colpo le recide il capo e intanto il suo cane s'azzuffa col mastino del palazzo incantato e lo strozza. Va avanti ardito il giovane, unge con l'olio i cardini e i catenacci del cancello che subito si apre. Appena dentro, quale spettacolo si presenta! Da tutte le parti gli vengono incontro, liberati dall'incanto, principi, duchi, conti e nobili donzelle, e la più bella di tutte è la figlia del re. Ma il giovane non è contento; cerca i fratelli. Vede in un canto due statue, assomigliano in tutto ai fratelli, si ricorda dell'ampolla, unge col sangue le statue, ed ecco farsi vivi e abbracciarlo teneramente. Cosi l'incanto fu rotto. Fatto questo, si reca, seguito da un corteo di principi, duchi, conti e nobili donzelle, al re del paese. Gli presenta la figlia liberata, e la domanda in sposa. Il re, maravigliato del valore del giovane, gliela concede e si fanno le nozze sontuosamente. Anche il vecchio pescatore e sua moglie devono esser presenti alle feste. Si mandano a chiamare e vengono, abbracciano i figli e credono morir di gioia. E neppure la vecchietta del crocicchio fu dimenticata, e, poiché il pescatore aveva già narrata la sua vita, per le bocche di tutti, volavano i ringraziamenti al Padre dei pesci.

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